Cartier-Bresson Paris: sono parole che non potevano non attirare la mia attenzione, soprattutto se stampate su una piccola scatola di cartone esposta insieme a prodotti da merceria sul banco di un mercatino dell’antiquariato.
Era l’estate di quattro anni fa quando, flaneureggiando fra un venditore di vinili e un banco di oggettistica varia, vidi qualcosa di inaspettato. Una pila di scatole in cartone leggero di colore neutro con stampa bordeaux, ben conservate, contenenti fili di cotone strizzati in fascette di carta. Ne acquistai una, il commerciante cercò di propormi – a un “prezzo di favore” – l’intero stock, ma il mio interesse era tutt’altro che pratico.
Mi allontanai dal corridoio di bancarelle in cerca di ombra e tranquillità per una rapida ricerca sul cellulare. Dovevo sapere: quella scatola di fili di cotone, su cui era stampato un logo formato da una C e una B separate da una croce, aveva un legame con Henri Cartier-Bresson, mitica figura del pantheon fotografico? Mentre digitavo nervosamente sulla tastiera provavo una certa vergogna nel rendermi conto che, nonostante mi occupassi da anni di fotografia e conoscessi molto del lavoro di HCB, ero fondamentalmente ignorante sulla sua storia, fatta eccezione per pochi eventi.
La ricerca iniziale non produsse risultati… rimasi in parte deluso ma anche un po’ sollevato perché se non si trovava alcun riferimento su Google magari la mia lacuna non era così grave oppure non c’era davvero alcun legame… Insistetti, provando a cambiare i termini da cercare, e qualcosa venne fuori, un accenno, un riferimento marginale. Beh, un legame c’era, ma dal poco risalto che gli veniva dato pensai che non doveva essere poi così importante. Quanto mi sbagliavo…
Misi da parte quella scatola di fili come una reliquia, promettendomi di realizzare un video e un articolo esaustivi su Henri Cartier-Bresson, ma confrontarsi con un fotografo della sua fama non era qualcosa da prendere alla leggera, perché sulla sua opera è stato detto praticamente tutto, perché mi ero reso conto di sapere davvero poco della sua storia, ma anche perché, nonostante l’indiscussa eccezionalità del suo lavoro, non provo un trasporto emotivo così forte verso di esso.
Tra dubbi vari e senso di riverenza sono passati quattro anni (due percepiti, a causa del vuoto da pandemia) e solamente adesso mi sono deciso a riprendere in mano l’affaire En rit Ca-Bre.
Una biografia su Henri Cartier-Bresson
Volenti o nolenti, magari ignorandone l’autore, tutti abbiamo visto scatti del fotografo che ha attraversato e documentato l’intero Novecento e che gli hanno valso l’appellativo occhio del secolo (l’œil du siècle). Le sue fotografie sono state discusse e analizzate minuziosamente, anche troppo a volte, tanto che in certi casi direi che sono state letteralmente sezionate. Per questo, dopo tanto riflettere, ho deciso di non avventurarmi in una disamina delle sue immagini. Piuttosto ho preferito colmare le mie lacune sulla sua biografia e per farlo ho scelto Henri Cartier-Bresson – Storia di uno sguardo di Pierre Assouline.
Henri Cartier-Bresson – Storia di uno sguardo
Il libro è edito da Contrasto, collana In Parole, caratterizzata dall’elegante finitura in tela colorata sulla copertina. A differenza dei volumi dedicati a Sebastião Salgado (Dalla mia terra alla terra) e a Jack London, Le strade dell’uomo ci si trova tra le mani un “librone”. In questo, come nei due volumi appena citati della stessa collana, la parte iconografica è minima. Il libro si legge velocemente, pur non essendo particolarmente scorrevole: ho trovato il testo non sempre chiaro – non so se ciò sia dovuto al materiale originale o alla traduzione – e anche la quantità di refusi è notevole. Ma lasciando da parte queste osservazioni, restituisce un quadro completo e sincero di Henri Cartier-Bresson. Le parole di Assouline disegnano tridimensionalmente la figura dell’uomo dietro alla Leica e all’amato obiettivo con lunghezza focale 50 mm.
Henri Cartier-Bresson è prima di tutto un essere umano, con le sue tante contraddizioni, idiosincrasie e rigidità, un uomo a cui non si potevano imporre freni, letteralmente sempre in movimento, un ballerino con una fotocamera che si muoveva furtivo come un gatto. Era capace di diventare invisibile e, con sensibilità e acutezza, catturare delle immagini che nessun altro era in grado di riprendere allo stesso modo.
Il fotografo dell’istante decisivo
Ogni volta che mi sono trovato a parlare dello stile di Henri Cartier-Bresson ho sempre sottolineato come la sua cifra distintiva fosse la precisione nella composizione, un uomo con il compasso negli occhi. Se si analizzano i suoi scatti con riga e squadra si rimane sorpresi dalla precisione delle inquadrature. La mia insistenza su questo aspetto è volta anche a controbilanciare l’etichetta di fotografo dell’istante decisivo: non che non lo fosse, ma tale definizione – a mio parere – ne sminuisce l’incredibile capacità compositiva.
Un fatto curioso, tanto che ho deciso di dedicargli questo articolo, è che la definizione di fotografo dell’istante decisivo è stata coniata quasi per incidente quando fu pubblicato il suo primo libro: Images à la sauvette, letteralmente immagini di fretta. Quando il libro esce negli Stati Uniti, l’editore, senza andare troppo per il sottile, vuole che il titolo venga tradotto in The Decisive Moment, l’instate decisivo, che diventerà il marchio di fabbrica dell’opera di HCB.
Conoscere la biografia di Henri Cartier-Bresson
Non so quante biografie dedicate a HCB esistano, mi sento comunque di consigliare quella di Pierre Assouline sia per il contenuto (meno per la forma – almeno di questa edizione italiana) sia per il prezzo. Molti anni fa, sulla quarta di copertina della prima edizione di Non si muore tutte le mattine di Vinicio Capossela compariva scherzosamente il prezzo al Kg. Beh, visto che Storia di uno sguardo conta circa 400 pagine e costa meno di 10 euro direi che è un affare ;-).
Il cerchio si chiude
Incappare in quella scatola di fili ha stimolato la mia curiosità, portandomi ad approfondire la vita del fotografo e a scoprire quanto per lui sia stato decisivo nascere in una famiglia proprietaria di una prestigiosa azienda. Il rifiuto di prendere il posto del padre alla guida dell’azienda di famiglia, la possibilità di operare determinate scelte grazie ai privilegi economici e sociali derivanti dalla condizione in cui era nato, la tensione dovuta al sentirsi in difetto per avere certi privilegi lo accompagneranno per gran parte della sua esistenza. Trovo curioso che, ripetendo ancora oggi una ricerca online su questo aspetto della sua vita, la prima fonte che si trova è la pagina di storia del sito di un’azienda di filati, pagina in cui non si accenna al fotografo. Un motivo in più che ha rafforzato la mia idea di incentrare l’articolo su temi diversi da quelli ben più dibattuti legati strettamente alla sua produzione artistica.